Intervista a ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’, di Michele Cozzi.
Roberto Speranza è uno dei leader della sinistra Pd: è in Puglia per la campagna elettorale sul referendum?
«Sono a Foggia per una manifestazione che si terrà domani (oggi, ndr) sui temi delle lavoro, del Mezzogiorno e delle riforme.
Sì, ma tra un mese c’è il referendum. Che dice?
«Parleremo in questo colloquio anche di referendum, ma l’attenzione va prima di tutto ai problemi che i cittadini vivono tutti i giorni: il lavoro, la sanità, il welfare, i trasporti. L’idea di un Palazzo della politica che da maggio discute solo di referendum rischia di allontanare i cittadini dalla politica. Se diamo la percezione che siamo solo sulle questione istituzionali, che pure sono importanti, rischiamo di allargare ancor di più il fossato tra persone e Istituzioni».
In questo contesto, c’è una specificità del Sud?
«Certo, il distacco tra cittadini e governo è ancor più forte nel Sud che continua ad attraversare una fase di difficoltà economica profonda, e qui è ancora più importante portare la politica ad occuparsi dei problemi dei cittadini. Non si vive mica di bicameralismo perfetto.”
Anche il governo si è fermato in vista del voto?
«È una campagna elettorale a quattro stagioni. Sarebbe ingeneroso dire che il governo sia fermo, ma è chiaro che l’attenzione principale del premier è sulla partita referendaria. E questo dà il senso di un referendum sul governo. Così si rischia di passare da una discussione sui contenuti ad una su Renzi e sul governo. Il mio auspicio che in queste settimane si provi a cambiare questa impostazione».
Lei ha espresso più volte perplessità sulla riforma, ma ufficialmente non si è schierato per il No. È così?
«Ho detto e ripeto che con l’Italicum il mio voto è no. Il tempo passa, l’Italicum non si modifica, ho rispetto del lavoro che sta facendo la commissione, ma ribadisco che con questa legge elettorale il mio voto non può che essere contrario».
Perché?
«La riforma costituzionale e la legge elettorale sono due parti della stessa riforma perché se si passa ad un sistema in cui una sola camera decide, è chiaro che diventa indispensabile capire come quella Camera viene eletta. I due provvedimenti costituiscono una sola grande riforma».
E quindi, qual è il rischio che paventa?
«Se si mettono tutti i poteri su una sola Camera, con la fiducia e la potestà di fare leggi ordinarie, è chiaro che diventa centrale come si eleggono i deputati. Questa legge elettorale è disastrosa per due motivi».
Quali?
«Non permette ai cittadini di scegliere i propri eletti. Avremo ancora una Camera fatta prevalentemente di nominati. Poi, una forza politica che rappresenta una piccola minoranza nella società, con il ballottaggio nazionale, può diventare dominante in Parlamento. Una forza di minoranza si troverebbe ad essere maggioranza assoluta in Parlamento».
Ma in altri Paesi europei non accade lo stesso?
«In Francia e negli Stati Uniti c’è il presidenzialismo. La mia opinione è che il combinato tra riforma costituzionale e legge elettorale produce un cambio della forma di governo senza gli elementi di garanzia che l’introduzione del presidenzialismo dovrebbe portare con sè. Stiamo cambiando la forma di governo e non sono d’accordo. Se si vuole farlo lo si dica e si costruisca un sistema di garanzie. Il rischio è che andiamo verso un governo del capo, con una inedita concentrazione di poteri nelle mani del capo del partito che vince le elezioni. Se guardo a quello che sta accadendo in giro per l’Europa e per il mondo, da Trump in giù, penso che questo sia un errore da non commettere».
Ma la legge elettorale non vi piace per il terrore che favorisca il M5S?
«Personalmente mi sono battuto contro l’Italicum anche quando il Pd aveva il 40 per cento. Un anno e mezzo fa sulla legge elettorale mi sono dimesso da capogruppo, ho votato contro il provvedimento e non ho votato la fiducia al governo. Rivendico la mia coerenza. Certo oggi è un fatto che i grillini hanno vinto 19 su 20 ballottaggi alle comunali. Credo che questo abbia spaventato alcuni che invece in principio avevano sostenuto l’Italicum”.
Secondo i sondaggi iscritti e popolo del Pd sono con il segretario. Avete già perso la partita interna?
«Incontro una parte larga della nostra gente di centrosinistra che non è convinta del SI. I sondaggi non mi interessano, ma posso garantire che nel mondo del centrosinistra ci sono tante persone che la pensano come me. Per esempio Cgil, Anpi, Arci si sono schierati per il no».
Dopo il 4 dicembre c’è il rischio di sconvolgimenti epocali nel Pd?
«Mi batterò perché il Pd resti unito. Un grande partito come il nostro deve saper superare anche passaggi difficili in cui ci si divide».
D’Alema chiede le dimissioni del premier in caso di sconfitta. Lei che dice?
«Il referendum non è su Renzi né sul governo, ma sulla architettura istituzionale del Paese».
Ma la vittoria del No non sarebbe ascrivibile ai grillini?
«È una lettura sbagliata e politicista. C’è una parte del centrosinistra che voterà no. Non è un voto su Renzi o sul governo, ma nemmeno su altri partiti»,
In caso di sconfitta il premier si dimetterebbe?
Sono valutazioni che toccheranno a lui.
Bersani ha deciso, prima della fine dei lavori della commissioni sull’Italicum di andare in piazza per il No. Che dice?
«Su questo tema è giusto che ognuno maturi la propria convinzione personale. Non ci possono essere diktat di partito, o di componente».
Ma se mentre si tratta andare in piazza significa che la trattativa è naufragata?
«Quando Renzi ha voluto approvare la legge elettorale ha messo la fiducia. Oggi c’è una commissione che rispetto, ma non posso non osservare che c’è una differenza enorme tra quando Renzi ha voluto fare sul serio mettendo il massimo di energia e ora».
Che pensa della posizione di Emiliano sul referendum?
«Rispetto molto la sua posizione. È un presidente di regione che sta esercitando l’autonomia che dovrebbe derivare a tutti dal voto dei cittadini».
Lei sarà candidato alla segreteria del Pd?
«Lavoro per costruire l’alternativa dentro il Pd».