Intervista al Corriere della Sera, di Monica Guerzoni.
Se c’è una cosa che fa infuriare Roberto Speranza, è il sospetto dei renziani che la minoranza usi la Costituzione per sabotare il governo e riprendersi il Pd: «Ragionamento miserevole. Stiamo parlando dell’architettura istituzionale dello Stato e una lettura tutta politicista non serve».
Ha sentito l’avvertimento del segretario? «Basta risse e basta con la “sindrome di Bertinotti”, non si può fare un congresso al giorno».
«Ricordo un hashtag di Renzi a Epifani, Guglie!mo fissa la data. Non è nel mio stile, ma questa volta direi Matteofissaladata. Di un congresso del Pd c’è particolarmente bisogno, perché molte scelte sono andate fuori sia dal mandato del congresso, sia da quello delle primarie per la premiership. Penso alla scuola, al lavoro e alle liste bloccate dell’Italicum».
Se l’Italicum non cambia voterete No, spaccando il Pd?
«L’unità la costruisce prima di tutto il segretario. Quando abbiamo votato la riforma del Senato abbiamo chiesto, come condizione, di cambiare la legge elettorale».
Qual è il prezzo da pagare per ricompattare il Pd?
«L’atto più unitario possibile sarebbe ammettere che Renzi e il Pd hanno sbagliato. Da un anno e mezzo dico che è stato commesso un errore. Mi sono dimesso da capogruppo e non ho votato la fiducia al mio governo, eppure una discussione vera non si è fatta. Oggi mi fa piacere non essere più solo a dire che la legge elettorale non va bene. Lo hanno fatto Napolitano e poi Veltroni, Franceschini, Orfini… Il clima è mutato, serve una iniziativa politica nel più breve tempo possibile. Anche per portare un pezzo significativo di disagio, che c’è nel Pd, su posizioni più aperte al referendum».
Potreste barattare il Sì con qualche ritocco all’Italicum?
«Noi abbiamo proposto il “Mattarellum 2.0”, che è molto diverso dall’Italicum. Piccoli ritocchi estetici non cambierebbero la sostanza. Sulla Costituzione non possono esserci baratti o trattative al ribasso tra me e Renzi. Se la somma tra legge elettorale e riforma costituzionale mi convincerà darò una mano, altrimenti dirò come la penso».
In quel caso, farete comitati per il No?
«Non è una discussione di oggi. Il Pd ha ancora un tempo congruo per costruire un nuovo equilibrio istituzionale. Se questo avviene ci saranno le condizioni per unire il Pd, altrimenti non potremo sostenere il referendum. Con 400 tra deputati e senatori il Pd ha sempre determinato le scelte fondamentali del Parlamento. Mi aspetto che anche in questo passaggio faccia una scelta vera e coraggiosa e cambi l’Italicum».
Lei giura di non voler ribaltare Renzi, ma Gotor e Fornaro si sono dimessi dalla Vigilanza e ogni giorno sulla Raí andate all’attacco.
«Sulla Rai è passato il messaggio di una normalizzazione, la sensazione di una stretta. E questo è inaccettabile. Bianca Berlinguer è stata rimossa e ora si parla di una direttiva di censura preventiva della satira. Le dimissioni di Gotor e Fomaro sono un atto importante, dimostrano che c’è un altro modo di essere pd. Noi non mettiamo la nostra firma su una linea politica completamente sbagliata».
Come ha preso la scelta di intitolare la Festa dell’Unità «L’Italia che dice Sì»?
«Si commette un errore grave. Le feste sono state pensate come luogo per parlare anche oltre il Pd. Puntare tutto sul Sì alza un muro , una barriera. E rischia di lasciare fuori un pezzo importante della nostra comunità democratica».
Se vincessero i No, cosa accadrebbe dopo? Un Renzi bis o un nuovo governo, magari guidato da Deirio o da Franceschini?
«Non mi interessano i retroscena. Ma è impensabile che il destino di un partito sia legato solo a una personalità. Siamo il più grande partito del centrosinistra d’Europa e oggi Renzi ci guida tutti, ma il Pd non inizia e non finisce con una leadership. Ha avuto molti segretari prima di Renzi e avrà tanti segretari dopo di lui».