In occasione dei novant’anni di Alfredo Reichlin e della pubblicazione del suo libro “La mia vita”

Negli anni del mio impegno politico, prima nel movimento giovanile e poi sul territorio, ho sempre guardato ad Alfredo Reichlin come ad un riferimento prezioso. Un politico della sinistra italiana. Un brillante intellettuale capace di leggere la società in cambiamento e di comprendere quel filo essenziale che deve sempre saper legare il flusso storico dei grandi mutamenti economici, sociali e culturali con le dinamiche e con l’attualità della politica.
Nei suoi scritti e nelle sue parole ci sono alcune idee cardine su cui voglio qui brevemente soffermarmi e che credo possano rappresentare una bussola molto utile per una generazione più giovane.

La Politica come storia in atto. È una frase ricorrente nei suoi scritti che rappresenta molto di più di una semplice frase: è un monito ed un impegno al tempo stesso. È la consapevolezza che la politica ha senso solo se sa cogliere il flusso profondo della storia. Se sa interpretarlo e, direi, orientarlo, a partire dal proprio sistema di valori. Mi pare questa la prima e forse la più importante lezione di Alfredo: leggere in profondità le evoluzioni della nostra società e capirne il nesso più profondo. Politica come storia in atto significa dar valore e peso all’autonomia e alla forza della politica. Non può certo significare rinunciare al coraggio delle proprie idee, delle proprie convinzioni e della battaglia politica. Anzi comprendere i processi di fondo è la prima condizione per rendere più forte l’autonomia delle scelte e più efficace la stessa battaglia politica.

La Democrazia come processo di allargamento degli spazi di libertà e di protagonismo degli uomini

Emerge costantemente nel pensiero di Reichlin una certa idea della politica come tentativo instancabile di estensione del campo democratico. La sua lettura della funzione nazionale del Partito Comunista Italiano che ebbe il merito storico di connettere alle istituzioni e alla politica masse informi che ne erano state molto distanti. La stessa chiave per interpretare il rapporto Moro -Berlinguer parte da questa necessità di affrontare quello che viene considerato il problema di fondo della storia italiana: “la democrazia difficile”. E questo stesso spirito si può leggere nelle considerazioni che lo portano a condividere il senso più profondo della scelta di dar vita al partito democratico.

La Frontiera dell’allargamento della democrazia deve avanzare costantemente senza dare nulla per scontato. Lo stesso europeismo della sinistra va letto prima di tutto dentro questo tentativo. La grande sfida alla democrazia nel nostro tempo arriva dalla disparità di forze tra la potenza dell’economia e il potere della politica. La potenza globale dell’economia finanziaria ha progressivamente usurato i tradizionali strumenti della democrazia per come si esprimevano nel quadro della sovranità degli Stati nazionali. Io non credo che questa chiave di lettura sia inattuale. Anzi. Penso si senta sempre più la necessità di una dimensione politica capace di essere all’altezza dell’internazionalismo dell’economia finanziaria. Questo vale ancora di più oggi. In giorni difficili, in cui si sente tutto il peso della crisi di progetto dell’Europa. Le elezioni in Inghilterra e il futuro referendum, gli ultimi voti in Spagna e Polonia, la crisi della Grecia, le stesse ultime preoccupazioni espresse da Mario Draghi o ancora la debolezza ad affrontare le tante crisi internazionali o anche solo fenomeni che richiederebbero ordinaria cooperazione, come l’ultima emblematica vicenda delle quote in materia di immigrazione.
La chiave non può che essere quella di un nuovo europeismo senza dubbio critico sullo stato del processo di integrazione e sulle regole dell’Unione, ma consapevole che fuori da una dimensione politica che superi i vincoli della sovranità nazionale la democrazia è solo più debole. Non più forte.

Idea di nuova unità nazionale
Questo grande tema democratico non si declina solo attorno alla necessità di un vero e proprio rilancio europeo su nuove basi, ma conduce a guardare con preoccupazione anche all’unità del nostro Paese.
Una statualità debole, un’amministrazione spesso inefficiente, un particolarismo sfrenato, una fiscalità troppo evasa e pressante rispetto alla qualità dei servizi che rende, sono gli elementi di fondo che portano a pensare che sia ormai venuto meno il compromesso tra Nord e Sud. Il vecchio patto di sviluppo è saltato con la globalizzazione ed il superamento delle frontiere economiche dello Stato nazione. La conseguenza è un meridione sempre più abbandonato a se stesso, un Sud tollerato solo fino a quando offriva manodopera a basso costo per garantire lo sviluppo industriale del nord.
È un dato di fatto che il lungo e faticoso percorso di convergenza fra il Sud e il resto dell’Italia, un progetto che ha alimentato le speranze di tante generazioni della penisola nel XX secolo, vive una brusca battuta d’arresto. Il rischio è grave e cresce ogni giorno di più: il Mezzogiorno non è più considerato una realtà economica in ritardo e da recuperare, ma sta diventando un altro paese, con una diversa qualità della cittadinanza e del futuro.
Si tratta di una secessione morbida e indolore, che conserva l’Inno di Mameli e il tricolore, ma dentro un guscio vuoto facendo emergere gli egoismi sociali, i corporativismi, la criminalità. L’errore più grave è pensare che sia finita l’interdipendenza nazionale: se metà del paese e dei suoi abitanti se ne vanno, anche il Nord conta molto di meno sul palcoscenico europeo. Certo non è in discussione l’unità, ma la sua trasformazione in un orpello senza identità, progetto e destino comuni, in un paese che rischia di restare senza nazione.

Partito della nazione.
Il partito democratico deve essere la risposta a questi grandi temi, alle nuove sfide che si profilano dinanzi al nostro orizzonte. Serve all’Italia un grande soggetto politico capace di interpretare il tempo nuovo che siamo chiamati a vivere. Il partito di un nuovo europeismo, il partito dell’unità nazionale, il partito della coesione sociale e territoriale, il partito dell’estensione dei diritti.
Il Pd è nato per questo, ma non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi di fondo. Ha acceso grandi speranze, ma rischia di produrre forti disillusioni. Partito della nazione significa la capacità delle storie e delle culture politiche del centrosinistra italiano di mettersi al servizio del Paese. Sette anni di crisi economica drammatica hanno prodotto un quadro politico inedito. Fuori dal Pd la fotografia del sistema politico italiano è inquietante. Salvini, Grillo, Berlusconi. È chiaro a tutti che la responsabilità principale ricade sulle nostre spalle. C’è oggi una vera e propria coincidenza di destino tra la tenuta dell’Italia e la capacità del Pd di essere all’altezza della sua missione originaria.
Questo per me significa partito della nazione. Non l’idea vaga e confusa di un catchallparty non meglio definito, in cui scompaiono i confini tra la destra e la sinistra ed in cui c’è dentro tutto e il contrario di tutto.

Il progetto del Partito Democratico è e resta per me il progetto politico più forte di questo secolo per il nostro Paese. Quello in cui impegnarsi con ogni energia per realizzare quella missione nazionale della sinistra italiana che mi pare essere il cuore della lezione di Reichlin alle generazioni più giovani. Un impegno non facile e neanche scontato nell’esito ma, per dirla con le parole di Enrico Berlinguer, un impegno che può riempire degnamente una vita. Buon compleanno Alfredo.