Invita Renzi a farsi promotore a Ventotene di un’Europa a due velocità, con stati più convinti che cedano sovranità, con un ministro unico per Economia e Difesa. E avverte il premier che per avere il suo sì al referendum, «bisogna cambiare l’Italicum. E come me la pensano in tanti nel partito», dice Roberto Speranza, leader della minoranza Dem.
Fa bene Renzi a chiedere maggiore flessibilità alla Germania, magari offrendo in cambio un sì al rinvio della Brexit?
«Il punto di fondo è che il rapporto col paese il Pd se lo gioca sulle questioni economiche e sociali e non su quelle istituzionali, anche se sono importanti. Detto ciò, una battaglia sulla flessibilità ha offerto margini in questi mesi ma non è di per sè sufficiente. Ci sarebbe bisogno di una sorta di ripartenza delle ragioni di fondo dell’Unione. Certo bisognerebbe invertire il ciclo di austerità, ma ci vuole uno scatto, un contropiede politico alla Brexit».
Con che strategia?
«Con scelte troppo a lungo rinviate, come un maggiore coraggio nel cedere sovranità. La preoccupazione più forte è che da parte di larghi strati di cittadini europei prevalga l’idea che gli interessi dei più deboli vengano difesi meglio dentro i confini nazionali. Questo è il grande tema che c’è da risolvere. E quindi ci vorrebbe uno scatto, un’Europa in cui chi è convinto ceda subito sovranità e condivida le responsabilità. Con un ministro unico dell’Economia e della Difesa, se questo è il punto. Altrimenti finiamo di consegnare alle opinioni pubbliche la percezione che gli interessi della gente comune si difendono meglio sotto le bandiere nazionali. Da Renzi mi aspetterei una mossa su questo terreno. Poi, tutti i margini di flessibilità economica che possiamo ottenere sono utili, ma molto dipende da come si usano. Inseguire ancora la riduzione fiscale rischia di essere un errore per la ripresa: bisogna puntare sugli investimenti, unica leva che può attivare crescita e lavoro».
Tasse, altro tema di divisione oltre al referendum. Se non si tocca l’Italicum voi voterete no?
«Il referendum è sull’architettura istituzionale del paese: riforma costituzionale e legge elettorale sono inscindibili. Se una sola Camera dà la fiducia, diventa fondamentale come la scegli. Con l’Italicum sarebbe fatta di nominati, rischiando di trasformare una piccola minoranza in una maggioranza Se si votasse domani, non sarei in condizione di votare sì. Ci vorrebbero collegi uninominali e un premio che non distorcesse la rappresentanza. Ma vorrei dire una cosa personale…»
Prego.
«Vedo che oggi molti criticano l’Italicum, ma io non lo faccio perchè ho visto 19 ballottaggi su 20 vinti dai grillini: un anno fa mi sono dimesso da capogruppo e non ho votato la fiducia al mio governo. Oggi tante personalità dicono che questa legge non funziona, da Napolitano a Veltroni a Franceschini, da ultimo Orlando. Lo dico a chi pensava fossi un pazzo a dimettermi da capogruppo».
E come lo spiegherete ai compagni che se vincesse il no, anche a causa vostra, potrebbe poi arrivare un governo grillino o la destra al potere?
«Ma il governo non ha nulla a che fare con questo! Renzi ha sbagliato a personalizzare, non si devono mischiare i due terreni. Anche nella prima fase della Costituente ci fu una rottura di governo, ma si continuò a lavorare per la Costituzione. Io incontro tanti militanti e dirigenti che al referendum vogliono votare no. E quelle sono persone che vanno rispettate. Cambiando la legge elettorale gli si dà una prima risposta. E quel che chiedo è che il Pd faccia un’iniziativa, ha 400 parlamentari e non si può nascondere».
Come ha vissuto l’invocazione di un papa straniero da parte di Cuperlo? Un colpo basso?
«E’ un dibattito che non mi pare centrale. Ho letto le sue parole come un tentativo di raccogliere, per usare una formula, quel tanto Pd che c’è fuori dal Pd. Dopodiché io lavoro per costruire un’alternativa a Renzi dentro il Pd e sarà la politica a decidere tutto il resto».