Intervista a la Repubblica, di Sebastiano Messina.
Roberto Speranza, il referendum è fallito ma la Basilicata – la sua regione – è stata l’unica a raggiungere il quorum: 50,5%.
Già. E Potenza, la mia città, ha superato il 58 per cento con il 97 per cento di Sì. E’ un dettaglio, però mi sono tolto questa soddisfazione.
Dalla Basilicata parte la sfida a Renzi per la segreteria del Pd?
Che io lavori a un’alternativa a Renzi è un dato di fatto, ma non è che io divento l’anti-Renzi perché la Basilicata ha superato il quorum. Se io lo dicessi, sarebbe immorale. In Basilicata le persone hanno votato perché c’è una sensibilità diffusa sulla vicenda petrolio, una faccenda che tocchi con mano nella quotidianità.
Vuol dire che lì si è votato davvero per le trivelle e non pro o contro Renzi?
Guardi, io ho fatto la campagna elettorale sul serio, girando l’Italia. E non ho incontrato renziani o anti-renziani: ho incontrato il Wwf, Legambiente, le associazioni cattoliche. Tutte le strumentalizzazioni sono sbagliate. Quelle di chi pensava di usarlo per dare una spallata al governo e quelle di chi oggi dice: l’astensione significa che il governo è forte. Sono due chiavi di lettura sbagliate. C’era un quesito che aveva, lo riconosco, una sua marginalità, ma dietro il quale c’era una domanda di fondo: acceleriamo il percorso verso le energie rinnovabili.
Dove ha sbagliato Renzi, secondo lei?
Ha commesso due errori. Il primo, molto grave, è stato quello di portare il più grande partito del paese sull’astensione.
E il secondo?
A un certo punto sembrava che Renzi fosse il capo del partito dell’astensione. E questo no lo può fare il presidente del Consiglio. E non lo può fare neanche il segretario del Pd. Anche perché, poi, molti elettori del Pd sono andati lo stesso a votare: per fortuna, dico io. E Renzi, dichiarandosi contento per la vittoria dell’astensionismo, rischia di allontanare un altro pezzo di elettorato che guarda al Pd come interlocutore naturale. Ripetendo l’errore commesso sulla scuola, quando ha varato una riforma che aveva contro tutti, professori e studenti.
Renzi potrebbe rispondere che il 68% la pensa come lui.
Sconsiglierei al Segretario del Pd di intestarsi tutte le astensioni. Molti cittadini italiani hanno scelto consapevolmente di non andare a votare, e io li rispetto. Ma se qualcuno mi venisse a dire che questo 68 per cento era interamente composta da persone che si sono interrogate e hanno deciso di esprimere così la loro scelta, io risponderei che è una presa in giro.
Anche lei si è sentito offeso da quel “Ciaone” di Ernesto Carbone su Twitter?
Un dirigente del Pd non dovrebbe mai mancare di rispetto a milioni di persone. Quel tweet superava sinceramente la misura. Il Pd rischia di diventare un partito nel quale c’è un capo che parla in televisione e poi una sommatoria di comitati elettorali sul territorio. In mezzo, manca esattamente il soggetto politico, cioè il partito. Il referendum ne è la prova: l’hanno promosso i Presidenti delle Regioni del Pd, ovvero i territori, e il Pd nazionale ha risposto con l’astensione. Posizione schizofrenica.
A ottobre ci sarà il referendum costituzionale. Lei farà parte del comitato per il No?
Di questo parleremo, spero, in Direzione e nei gruppi. In Parlamento abbiamo votato uniti, ora tocca Renzi unire il Pd. Ma per quello c’è tempo. Ora dobbiamo pensare alle amministrative.
Già: si vota a Roma, a Milano, a Napoli, a Torino. Se in due o tre di queste sfide il Pd dovesse essere sconfitto, sarebbe un segnale politico per il governo?
Quando si vota nelle capitali d’Italia il risultato ha indubbiamente una valenza politica. No, non lo si potrà derubricare a voto amministrativo. Perciò penso che nelle prossime ore la priorità sia impegnarsi per vincere queste elezioni.