Intervista a il Piccolo di Trieste, di Marco Ballico.
L’obiettivo di Roberto Speranza non è spaccare il Pd o mandare a casa il governo, ma rappresentare dentro il Pd anche i moltissimi militanti e cittadini di centro sinistra che votano no. E soprattutto, dopo il referendum, «ottenere che il governo faccia una svolta sociale». Il leader dell’area della minoranza Pd Sinistra riformista, oggi a Trieste alle 11.15 al Caffè San Marco, spiega i motivi per cui votare No, ma si concentra anche sul dopo 4 dicembre. E, per esempio sul lavoro, insiste per un «tagliando sul Jobs Act, perché l’esplosione dei voucher è una forma di precarietà della peggior specie».
Speranza, perché bocciare la riforma costituzionale?
Fondamentalmente per tre motivi. Innanzitutto perché la somma degli effetti della riforma della Carta e della legge elettorale produce un eccessivo accentramento di potere nelle mani di uno solo, il capo della lista che vincerà alle urne. Con l’aria che tira in Europa, i populismi che avanzano, le forze di estrema destra, la concentrazione dei poteri fa ancora più paura. Quando ti occupi di materia istituzionale, non devi fare la fotografia del momento. Devi pensare a cosa accadrà nei prossimi venti o trent’anni.
Gli altri due motivi per il No?
Il disegno neocentralista si riflette anche nel rapporto tra centro e territorio. La riforma sposta importantissime competenze dalla periferia allo Stato. In un Paese che aveva preso la strada di una cultura federalista, l’arretramento è clamoroso. Infine c’è il problema di un Renzi che ha trasformato questa partita in un plebiscito. Dimenticando il saggio avvertimento di Calamandrei: quando si parla di Costituzione in Parlamento, i banchi del governo devono essere vuoti.
Troppa personalizzazione?
Decisamente. Il mio è anche un No a una logica che trovo completamente sbagliata. Si vota sulla Costituzione, non su Renzi.
Le Regioni a statuto speciale non sono toccate direttamente dalla riforma. Si salveranno dal centralismo?
Ci sono ragioni importanti che hanno portato e giustificano ancora la specialità. Ma il fatto che l’Italia possa diventare un Paese meno federalista e più centralista non aiuterà nessun territorio, al netto della specialità. La linea politica prevalente è chiara. E va verso Roma. Non può essere indifferente nemmeno per il Friuli Venezia Giulia.
Lei ha presentato una proposta di legge, ribattezzata Mattarellum 2.0. Quali i contenuti e lo scopo?
Con il ritorno ai collegi uninominali si restituisce all’elettore il diritto di scegliere chi mandare in Parlamento. Inoltre nel testo si prevede che il 75% dei seggi venga assegnato con l’uninominale secco e il 25% a seconda dell’esito. Se la governabilità è assicurata dal 75%, il 25% aiuta l’opposizione. Altrimenti, quel 25% va appunto a garantire la governabilità. Un meccanismo a fisarmonica per riavvicinare i cittadini all’eletto.
Se vince il No che cosa deve fare Renzi il giorno dopo?
Nessuno della maggioranza gli ha chiesto le dimissioni, è stato lui a caricare il referendum di un’altra valenza. Nemmeno la minoranza insisterà per un suo passo indietro. Sarà il premier a decidere la strada migliore, fermo restando che, con 400 parlamentari, è il Pd a doversi comunque fare carico della governabilità del Paese.
Dove orientare l’ultimo anno e mezzo di legislatura?
C’è bisogno di una svolta sociale. Il rapporto con il Paese non si risolve con le questioni istituzionale. A me la gente chiede di lavoro, scuola, sanità, trasporti. È su questi temi che abbiamo perso, anche in Fvg, le elezioni amministrative.
Il Pd rischia la scissione?
Io lavorerò per tenerlo unito. Non siamo certo davanti a un voto congressuale. Guai immaginare che il Pd diventi un megacomitato elettorale per il Sì. In tanti, Cgil, Arci, Anpi, votano No. Sono sensibilità che rimangono protagoniste nel dibattito a sinistra.
Come immagina il futuro di Debora Serracchiani?
Al lavoro in Regione, dove ha tra l’altro ha prodotto l’ottima legge sull’integrazione al reddito. Politicamente, in questa fase, la considero però poco autonoma. L’autonomia era un suo tratto caratteristico.