Intervista a il Mattino, di Paolo Mainiero.
Fari accesi sui problemi del Paese senza alcuna corsa alle elezioni a tutti costi. È la linea di Roberto Speranza, deputato del Pd e candidato alla segreteria.
Il Pd si sta lacerando: elezioni sì, elezioni no; congresso sì, congresso no. Di questo passo si rischia di finire nel burrone della scissione?
«Il messaggio di fondo che vorrei far passare è che il Pd è il primo partito del Paese, lo è in Parlamento e nella società e deve continuare ad essere il partito della responsabilità. Guai se dovessimo trasformare il Pd nel partito dell’avventura, rischieremmo di perdere la nostra identità».
Quando richiama il Pd alla responsabilità vuole dire che in questa fase è prioritario il governo del Paese?
«Il Pd è la principale forza di governo. Abbiamo in Parlamento una solida maggioranza, usiamo questa forza per affrontare i grandi temi che sono sul tavolo».
Prima i problemi del Paese e poi il voto, dunque?
«Sicuramente. Abbiamo davanti a noi almeno quattro grandi temi. Il terremoto. Bisogna dare risposte vere e dare seguito al piano di ricostruzione avviando così nuovi investimenti pubblici. Serve, ed è un altro tema fondamentale, una misura universale di contrasto alla povertà. Esiste in tutta Europa tranne che in Italia. Porterebbe peraltro molte risorse al Sud».
Le altre due priorità?
«Va rivista la “Buona scuola”, che ha prodotto una rottura tra Pd, insegnanti e studenti, così come serve una revisione del Jobs act a partire dai voucher».
La legge elettorale non è una priorità?
«La legge elettorale spetta al Parlamento. Renzi sbagliò a imporre l’Italicum, ho apprezzato Gentiloni quando ha detto che il governo si limiterà ad accompagnare l’iter. Il Parlamento dovrà fare una legge che superi ciò che è rimasto dell’Italicum per effetto della sentenza della Consulta. Ho grande rispetto della Corte Costituzionale ma il potere legislativo è del Parlamento».
Lei ha detto che estendere i capilista bloccati al Senato sarebbe uno scempio.
«Una nuova legge dovrà contenere due principi fondanti. Il primo: mai più nominati, che rispondono al capo di turno e non ai territori. I parlamentari devono essere scelti dai cittadini. Il secondo: equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Con l’Italicum avevamo la legge più maggioritaria del mondo. La sentenza della Consulta ha cancellato il ballottaggio e ha lasciato una soglia molto alta rendendo l’Italicum un proporzionale puro. Siamo passati da un eccesso all’altro, come un pendolo impazzito. Siamo sicuri di voler correre alle urne con questo sistema? Io credo che il giorno dopo non ci sarà una maggioranza e neppure un governo con ipotetiche larghe intese».
Come si ferma il pendolo?
«Io mi opposi all’Italicum. Mi dimisi da capogruppo, votai contro e non votai la fiducia. Penso che il Matterellum possa essere una buona base di partenza perchè ha due pregi: consente ai cittadini di scegliere gli eletti; è un misto tra proporzionale e maggioritario».
Il Mattrellum spinge per le coalizioni. La strada è un Ulivo 4.0, come suggerisce Bersani? Questo vuol dire che il Pd ha esaurito la fase della vocazione maggioritaria?
«Il referendum ha definitivamente chiuso la stagione dell’ultra-maggioritario. Una certa interpretazione del Pd che risolve tutto da solo contro tutti non convince più. Bisogna invece sviluppare l’idea di un partito inclusivo, capace di costruire un tessuto che tenga insieme il cattolicesimo democratico e la sinistra e le positive esperienze del civismo. Il tempo degli amoreggiamenti con Verdini è finito».
Vendola propone un listone che va da Sinistra italiana a de Magistris passando per D’Alema e Emiliano. È possibile tenere dentro una coalizione tutto e tutti?
«Sulla base di un programma chiaro e riformista va costruito un modello che perimetri il nostro campo, il campo del centrosinistra, e tenga fuori residui del berlusconismo. Non è una formula magica, è la formula che ci ha fatto vincere in tante città e in tante Regioni».
Il leader di questo eventuale Ulivo 4.0 chi lo sceglie? Per la premiership ci saranno le primarie?
«Lo vederemo, lo capiremo in corso d’opera. Abbiamo chiesto una forma di contendibilità perchè è impossibile andare a elezioni politiche senza un confronto vero nel Pd. La via maestra resta il congresso ma attenzione a fare corse al voto anteponendo gli interessi del partito agli interessi del Paese».
Renzi teme che andare al voto nel 2018 potrebbe provocare lo stesso effetto che si ebbe nel 2013 quando il Pd scontò il logoramento del sostegno al governo Monti. È un timore fondato?
«Dipende da cosa si fa, da come si utilizza il tempo stando al governo. Se si lavora bene si può avere l’effetto opposto, per esempio si può recuperare il consenso dei docenti e degli studenti se riuscissimo a ricucire con la scuola un rapporto che si è strappato. Ogni giorno qualcuno mi chiede quanto durerà il governo. La domanda giusta è: cosa fa il governo? A Renzi dico che se mettiamo il governo nelle condizioni di lavorare avremo benefici e non danni».
La battaglia di Emiliano è anche la battaglia di un Sud in grave sofferenza? Renzi ha investito molto su De Luca, è stato un errore?
«Il Sud esprime potenzialità straordinarie che non siamo riusciti a esprimere fino in fondo. L’auspicio è che possa avvenire da qui in avanti, sia nel dibattito interno al Pd che nel Paese. Il Sud è stato considerato marginale. Sono state attuate politiche di aiuti alle imprese che hanno favorito le aree più ricche del Paese. Ogni tanto un rapporto Svimez riaccende i fari, ma non basta. Se la qualità della cittadinanza è così diversa rispetto al Nord si rischia una scissione silenziosa. Non siamo riusciti a segnare uno scatto. Non indico con il dito responsabili e responsabilità ma il Sud è un tema che abbiamo il dovere di avere stabilmente nell’agenda politica e di governo».