Roberto Speranza, leader di Sinistra riformista, ha davanti i dati del sondaggio Demos di Repubblica. Che non lo sorprendono: “Mi sembrano in continuità con quanto è accaduto alle ultime comunali. Per ripartire, bisogna puntare sulla questione sociale, recuperare i voti delle periferie e di chi non percepisce alcuna ripresa, riagganciare quei pezzi di elettorato – nel mondo della scuola e in quello del lavoro – con cui si è creata un frattura profonda”. Quanto all’Italicum: “Non sono io a dover dire nulla: su quella legge mi sono dimesso da capogruppo alla Camera, ho votato no in aula e non ho dato la fiducia al mio governo perché ritenevo assurdo porla su una riforma elettorale”.
Cosa pensa del sorpasso dei 5 stelle sul Pd? Se lo aspettava?
“Alcuni degli elementi del sondaggio sono in linea con quanto abbiamo osservato nel voto reale alle ultime amministrative. Spero che lunedì alla direzione si possa fare una discussione all’altezza della fase che abbiamo di fronte a noi. Veniamo da una scofitta molto dura, molto pesante, e i dati dell’indagine confermano le nostre preoccupazioni”.
Quali sono?
“Abbiamo avuto un racconto, uno storytelling del Pd e del palazzo che molto spesso è apparso distante dalla vita quotidiana di tante persone, in particolare dei ceti più popolari. Penso che il Partito democratico per riprendere forza e riacquisire il ruolo guida che ha oggi nel governo del Paese e in tante regioni e comuni italiani debba ripartire dalla questione sociale. Rimettersi in sintonia con quel pezzo di società che ancora vive dentro la crisi. Abbiamo raccontato di un Paese che ne sta uscendo e il fatto che finalmente sul pil o sull’occupazione ci sia qualche segno più è sicuramente merito del lavoro di questi mesi, ma è chiaro – e non dobbiamo dimenticarlo – che c’è una fetta molto larga e molto consistente del Paese che sta ancora tutta dentro la crisi. Nelle settimane e nei giorni che verranno il Pd deve ripartire esattamente da lì. Deve dire quali risposte si danno a questo pezzo di Paese”.
I dati del sondaggio di Ilvo Diamanti dimostrano che i 5 stelle sono stati in grado di attrarre anche quel voto “moderato” che un tempo guardava al centrodestra. Non crede che il problema non siano solo le periferie?
“Ho analizzato con cura il voto delle comunali. Guardiamo dove il Pd è maggiormente in difficoltà. Ci sono due segmenti, uno di tipo anagrafico, che riguarda le generazioni più giovani, e uno che potremmo definire sociogeografico, le periferie appunto, le aree del disagio nelle grandi città. Su questi due segmenti il nostro messaggio appare più debole perché è lì che si sentono di più la crisi e la debolezza della ripresa che abbiamo davanti. In quelle aree, quei timidi segni “più” rischiano di restare dei meri elementi statistici, per nulla legati alla vita delle persone. C’è una distanza enorme tra la nostra narrazione e la vota quotidiana delle persone. Una distanza che abbiamo pagato cara”.
Cosa chiede al governo e al suo partito?
“Chiedo una svolta nell’azione di governo. Il che non significa che ci interessino i balletti di poltrone, che pretendiamo posti in segreteria. Quel che vogliamo è un cambiamento deciso di rotta che parta dalle questioni sociali”.
Qual è la prima da affrontare?
“La scuola. Bisogna riaprire subito un dialogo vero con insegnanti e studenti. Lì si è aperta una crisi nel rapporto tra noi e la società italiana. In quel mondo c’è stato uno sciopero che ha riguardato 600mila persone e c’è una sofferenza vera, che incrocio quando vado in giro nel Paese. A un anno dalla riforma della Buona scuola propongo un vero e proprio check up richiamando insegnanti e studenti a un dialogo vero. Provando a capire cosa non ha funzionato, a partire dalla grande questione di chi è rimasto precario”.
Basta questo?
“No. Una seconda proposta ha a che fare con la questione dell’inclusione sociale e della lotta alla povertà”.
Il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle?
“Noi parliamo di una misura universale di contrasto alla povertà, che è un tema del Pd. Il governo ha fatto un primo provvedimento contro la povertà infantile, ora bisogna fare di più, con coraggio, e costruire una misura che esiste in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia. In Francia l’hanno fatto i socialisti, in Inghilterra i laburisti, in Germania i social democratici”.
Sta dicendo implicitamente che non si può lasciare questo tema ai grillini?
“Lo dico in modo esplicito. La difesa degli ultimi, dei più deboli, è un grande tema della sinistra. Il cattolicesimo democratico ha come stella polare la lotta alle diseguaglianze, ed è sul cattolicesimo democratico e sulla sinistra che è stato fondato il Pd. Non dovremmo dimenticarlo. Ma di proposte ne abbiamo anche su welfare, pensioni, sanità pubblica. Il Censis – e non solo il Censis – ci dice che
11 milioni di italiani rinunciano a curarsi come dovrebbero. Dobbiamo lavorare perché il nostro sia un servizio sanitario universale. E sul lavoro, stringere di più sui voucher, non consentire che creino una nuova drammatica forma di precarietà”.
Non crede che sul voto, come sui sondaggi, pesi anche un Pd molto diviso, con pezzi che si fanno la guerra tra loro e che fanno la guerra al segretario?
“L’unità dev’essere un obiettivo di tutti. Vorrei che il Pd uscisse dalla direzione di lunedì dicendo: ‘Abbiamo capito gli errori di questi mesi, proviamo insieme a voltare pagina e a cambiare rotta’. Ma è chiaro che questo dipende prima di tutto da Renzi. Sono abituato a partiti in cui l’unità viene costruita dal segretario. Dev’essere soprattutto un suo obiettivo. Ma sia chiaro che può essere costruita solo sulla chiarezza della linea politica, quindi – per quanto mi riguarda – può essere fatto solo se c’è un cambio radicale, una sterzata vera sulle questioni sociali”.
Qualcuno di voi entrerà nella nuova segreteria di cui si parla in questi giorni?
“Non chiediamo poltrone o aggiustamenti, di questo si occupi giustamente chi ha la maggioranza nel partito”.
E un cambio dell’Italicum, ora che sembra avere dubbi anche Matteo Renzi?
“Sull’Italicum non c’è bisogno che io dica nulla perché
parlano i fatti: per quella legge mi sono dimesso da capogruppo alla Camera, ho votato no – pallina rossa – in aula e non ho dato la fiducia al mio governo perché ritenevo sbagliatissimo metterla su una riforma elettorale. Non credo di dover dire di più”.