Perché voto NO.

Il 4 dicembre voterò no al referendum costituzionale. Lo farò con convinzione perché credo che la somma degli effetti della legge elettorale e della revisione della costituzione porti ad un eccessivo accentramento di potere nelle mani del capo della forza politica che vince le elezioni. Se alziamo lo sguardo fuori dai confini nazionali è preoccupante quel che sta accadendo in Europa e non solo. Si affermano movimenti populisti sull’onda della paura e dell’insicurezza di cittadini che si sentono sempre più fragili dinanzi alle incognite di questo tempo. In un contesto del genere le istituzioni devono garantire un equilibrio tra i poteri, evitare prevaricazioni e concentrazioni che rischiano di minare le nostre democrazie già pesantemente indebolite dalla crisi sociale. L’accentramento di poteri non riguarda solo il rapporto tra capo del governo e parlamento, ma anche quello tra centro e territori che saranno privati di funzioni fondamentali in piena contraddizione con l’impostazione federalista che solo pochi anni fa il nostro Paese aveva adottato.
Il mio no è anche un no alla logica plebiscitaria che il Presidente del Consiglio ha affermato nel corso di questa campagna elettorale. Il voto sulla costituzione che dovrebbe conservare una sua sacralità fuori dagli scontri ordinari è stato invece caricato di una valenza del tutto impropria. È divenuto un giudizio finale sul capo del governo contravvenendo alla regola aurea di Calamandrei per cui quando si parla di costituzione i banchi del governo devono restare vuoti.
L’Italia è un grande Paese. Una delle prime economie del mondo. Sono convinto che la vittoria del no non cambierà il senso di queste affermazioni. Saremo più forti di qualsiasi previsione su instabilità dei mercati o altro. Anzi penso che dopo l’affermazione del no possa aprirsi una nuova stagione di dialogo tra le forze politiche per arrivare ad una riforma più semplice e soprattutto più condivisa, costruita senza spaccare il paese.