Intervista a la Repubblica, di Michele Bocci.
Un grande patto per rilanciare il Servizio sanitario nazionale. Dieci miliardi di euro che Roberto Speranza vuole investire da qui alla fine della legislatura (che lui auspica essere nel 2023) e dei quali discuterà con il governo. Intanto il ministro alla Salute ha appena trovato i soldi per acquistare strumenti diagnostici da mettere negli ambulatori dei medici del territorio e nelle farmacie. In questo modo, tra l’altro, verrà ridotta la pressione sul pronto soccorso degli ospedali, in difficoltà in questo periodo di freddo e influenza sempre più diffusa. Altro denaro arrivato in questi primi 100 giorni di incarico al ministero del coordinatore nazionale di Articolo Uno servirà per sbloccare le assunzioni e anche per regolarizzare 30 mila precari tra medici, infermieri e altro personale sanitario.
Ministro, si avvicina il periodo influenzale e i pronto soccorso saranno presi d’assalto. Come rispondete?
“L’ospedale è naturalmente il luogo che si fa carico dei problemi acuti. Stiamo facendo investimenti per migliorarne la qualità. Oggi però la sfida è quella di rafforzare il territorio per rispondere all’esplosione delle cronicità, figlia, prima di tutto, di una popolazione più anziana. I medici di medicina generale, i pediatri e le farmacie sono i punti di maggiore capillarità che abbiamo sul territorio. In tutto gli studi sono 54mila, le farmacie 19mila, le parafarmacie 4 mila. La potenzialità è enorme, abbiamo almeno uno di questi presidi in ogni strada di grande città, ma anche nei paesi di 2mila abitanti. Lo Stato li deve valorizzare meglio”.
In che modo?
“Rafforzeremo studi medici e farmacie. Diamo 235 milioni agli studi per favorire attività diagnostica di primo livello e 50 milioni per estendere a tutta Italia la farmacia dei servizi, oggi in sperimentazione solo in alcune Regioni”.
Cosa avverrà praticamente?
“Tenendo conto che spesso i medici hanno studi condivisi, daremo a queste strutture circa 8mila euro per comprare strumenti come ad esempio ecografi, elettrocardiografi e spirometri che consentiranno una prima valutazione diagnostica. Sono apparecchiature che costano tra i mille e duemila euro. Nelle farmacie invece vogliamo sperimentare ulteriori forme di assistenza oltre alla funzione classica di distribuzione del farmaco. Penso ad alcuni test basilari come la glicemia”.
Che risultati si aspetta?
“Se diamo una risposta al cittadino, per di più vicino a casa sua, riduciamo la pressione sulle strutture come i pronto soccorso e gli amubulatori. Questo filtro può ridurre le richieste inappropriate. Non solo, lo Stato darà anche maggiore sicurezza alle persone. Anche quelle che vivono in zone isolate troveranno comunque un presidio sanitario più attrezzato dove affrontare rapidamente un problema”.
Proprio chi vive nei centri piccoli si lamenta delle chiusure di piccoli ospedali o delle piccole sale parto. Come si rassicurano queste persone?
“Riguardo ai parti, la norma prevede la chiusura dei punti nascita dove se ne fanno meno di 500. C’è un comitato che valuta le eccezioni su base geografica e può concedere deroghe per casi particolari. E’ chiaro che questo tema sviluppi tensione nei territori che meritano rispetto e ascolto, ma la nostra bussola non può che essere sempre la sicurezza della mamma e del bambino. Riguardo agli ospedali periferici, in questi anni la sanità ha avuto troppi tagli, purtroppo. E le spese le hanno fatte anche le strutture delle aree più disagiate, che comunque spesso vanno ripensate. Questo e altri problemi si risolvono in un solo modo”
Quale?
“Con un grande piano di finanziamento. Con la legge di bilancio abbiamo iniziato mettendo 2 miliardi in più nel fondo sanitario nazionale, stanziandone altrettanti per l’edilizia sanitaria e l’ammodernamento tecnologico. Ora bisogna fare di più, il servizio sanitario ha bisogno di riforme profonde per adattarsi alle nuove sfide. La premessa è una nuova stagione di investimenti se vogliamo salvaguardare l’impianto universalista dell’art.32 della Costituzione, come abbiamo già fatto abolendo il superticket. Al tavolo di rilancio del governo, a gennaio, proporrò 10 miliardi sulla sanità da qui al 2023. Cosi si può fare un nuovo grande Patto Paese per la riforma del sistema, che dovrà vedere coinvolti tutti i soggetti protagonisti della sanità”.
Intanto, alcuni di questi soggetti, come i medici, affrontano gravi carenze di organico. Come affrontate questo problema?
“Abbiamo alzato i tetti alla spesa sul personale. Adesso le Regioni possono investire sul personale fino al 15% della quota aggiuntiva del fondo. Dal 2019 al 2020 passiamo dal 5% su 1 miliardo al 15% su 2 miliardi. Stiamo parlando di 6 volte in più. Ci saranno nuovi concorsi, ma intanto abbiamo autorizzato lo scorrimento delle graduatorie per gli idonei per immettere subito medici, infermieri e altro personale in corsia. Infine è stato appena approvato un emendamento che allarga i termini della legge Madia, solo per la sanità, fino al 31 dicembre 2019. In questo modo una platea potenziale di 34mila lavoratori potrà passare dalla precarietà al tempo indeterminato. E’ una cosa bellissima per la vita di queste persone e così anche il Servizio Sanitario Nazionale è più forte”.
Spesso però le Regioni e le Asl, anche se vogliono assumere, non trovano candidati.
“Continueremo ad impegnarci per aumentare le borse di specializzazione. Non possiamo permettere che un giovane laureato in Italia sia costretto ad andare all’estero per poter formarsi e lavorare. Dobbiamo anche valorizzare meglio gli specializzandi che affrontano gli ultimi anni di corso”.