La sinistra di governo

Valori, idee, impegni per l’Italia

Voglio dire in premessa, che essere qui oggi ed aver ascoltato tutti i vostri interventi mi fa sentire a casa.
Abbiamo fatto una discussione profonda, vera, senza far finta di non vedere i tanti problemi che abbiamo sul campo. Proverò a dire con franchezza come la penso sulle questioni aperte, rilanciando la sfida che ci aspetta nelle prossime settimane: abbiamo fatto un pezzo di strada, ma resto convinto che la parte più bella e più significativa è quella che dobbiamo ancora percorrere. Procederò per punti.
Il primo. Il tratto che deve in qualche modo contraddistinguere questo pezzo di partito è il rapporto profondo con la realtà: voler provare sempre a capire, a cogliere le questioni che riguardano la vita quotidiana dei cittadini. Voglio partire da qui. La realtà è sempre più forte della comunicazione: oggi la mia più grande preoccupazione è nella realtà fuori di noi, quella delle piazze, degli studenti, del sindacato, che noi rispettiamo e a cui chiediamo lo stesso rispetto.
Una situazione drammatica di famiglie e imprese in difficoltà che rischiano di non farcela: quella è l’Italia reale, è la fotografia che ci preoccupa e alla quale noi dobbiamo dare risposte. Dico noi perché noi siamo il più grande partito del paese. A questo quadro sociale si contrappone un quadro politico non rassicurante. Dobbiamo essere sinceri e realisti: alla drammaticità dello scenario sociale non corrisponde un sistema politico capace di dare risposte. I grillini hanno provato a raccogliere, a trasformare in rappresentanza parlamentare un’inquietudine profondissima che c’era nei cittadini e che secondo me purtroppo, c’è ancora. Oggi la sensazione è che non ce la fanno neanche loro. Ma se non ce la fa il sistema politico a rappresentare le preoccupazioni della società, noi siamo di fronte ad un problema enorme, un problema di tenuta del sistema democratico e di rappresentanza, di sfida di fondo della politica. Questo è il punto da cui noi dobbiamo partire, non con i retroscena, le battute, le veline con le quali spesso si riempiono i nostri dibattiti, i nostri salotti televisivi. Sta tutto qui il ruolo del Pd.
Se questo è lo scenario, se questo è il quadro drammatico sociale che viviamo, tutta la responsabilità, tutto il carico finisce sulle spalle del Partito democratico. Lo voglio dire utilizzando termini un po’ “politicisti”: ho la sensazione che noi siamo rimasti l’unico vero partito non antisistema. E’ un fatto drammatico, ma il nostro dibattito interno va letto a partire da questa considerazione. Fuori dal Pd non c’è una grande forza vera che non sia antisistema: è antisistema Grillo che, in maniera sconsiderata, ne fa un tratto identitario, contro tutto, contro il Parlamento, il Presidente della Repubblica; in qualche modo è antisistema Forza Italia, che quando ha governato ha dimostrato la sua fragilità, e ha perso di autorevolezza in Europa e nel mondo. Immaginate cose accadrebbe se andassimo in una cancelleria europea o a Bruxelles a raccontare che torna in mano a Forza Italia il governo del Paese. In questo senso è antisistema Forza Italia perché non è in grado di essere un cardine e un punto di tenuta. E’ antisistema la Lega che sta assumendo toni assurdi, a tratti xenofobi, e anti euro per provare a far dimenticare che fino a qualche anno fa era l’ancella di Silvio Berlusconi. E oggi Salvini vuole farci lezione, tutti i giorni, su come bisognerebbe provare a cambiare il mondo. Quanto alle altre forze più piccole, noi le rispettiamo, ma non possono rappresentare il baricentro del sistema. Dunque c’è solo il Pd, partito della nazione a cui spetta l’arduo compito di essere punto di tenuta e cardine del paese. Lo dico con preoccupazione perché se il campo democratico non regge in Inghilterra, dall’altra parte c’è Cameron; se il campo democratico non regge in Germania c’è la Merkel; se sprofonda in Francia c’è Sarkozy; in Spagna c ‘è Rayoi. Ma se crolla in Italia, purtroppo, va in malora il Paese. E allora per me “partito della nazione” significa una coincidenza di destino tra la tenuta dell’Italia e la capacità del Pd di essere all’altezza della sfida che ha di fronte a sé. E qui aggiungo una valutazione decisiva e che spiega anche le nostre contraddizioni. Se è vero quello che ho detto, e cioè che il Pd è l’unico partito non antisistema del paese, come si regge questo assioma con la scelta che noi abbiamo fatto, qualche mese fa, di entrare nella grande famiglia dei socialisti e democratici europei? Penso che questo sia il punto politico del dibattito interno in questi mesi e in questi giorni. Perché quando tu sei l’unico partito su cui il paese si può reggere, è chiaro che ottieni il consenso anche di chi non viene dalla tua stessa storia. Pd lo vota gente che ha un’altra cultura politica, altrimenti non si arrivava al 40%! Lo votano pezzi di società, blocchi sociali che non stanno nell’alveo della famiglia e della cultura politica progressista. Questa è la grande contraddizione che noi dobbiamo risolvere: questo pezzo di partito serve esattamente a sciogliere quel nodo, a dire che si può essere partito della nazione, partito che difende fino in fondo il paese, dentro la capacità di tenere la scommessa, che tutti insieme abbiamo fatto, di adesione ad un campo valoriale ben preciso, a cui io non voglio rinunciare, che è il campo socialista, democratico, progressista. Questo è il punto, questa è la sfida, e Area Riformista serve esattamente per vincerla. Il tema scissione non esiste, è una follia. Diciamolo con tutta la forza possibile. E’ nel Pd che noi dobbiamo vincere la partita di far prevalere in quella funzione nazionale – che ci può far diventare semplicemente un “catch all party”, come si dice in America, cioè un partito che prende dentro – un soggetto che ha idee, valori chiari e determinati. Solo così si costruisce una sinistra vera, moderna, riformista, dentro la missione nazionale del partito. Noi dobbiamo saper rafforzare il partito come soggetto collettivo: collettivo non è una parola brutta, è una parola bella che dobbiamo rivendicare. Io penso che una leadership forte sia utile e delle leadership non bisogna aver paura. Le leadership non bastano e non basta neanche la leadership che ha il più grande consenso nel nostro paese. C’è bisogno di un protagonismo collettivo e c’è bisogno di un dibattito vero. Io parlo spesso con Matteo Renzi, e glielo ho detto con nettezza, non servono i “signor sì”. In un partito deve esserci un dibattito plurale nel quale ci si confronta, nel quale opinioni diverse stanno insieme e nel quale si prova a costruire una capacità di tenuta complessiva. Non servono “signor sì”, ma non serve neanche tirare ogni giorno un colpo contro il governo, oppure contro qualcuno dei suoi protagonisti.
Penso che ci sia uno spazio possibile della politica: noi siamo autonomi, lo ha detto Maurizio Martina, noi siamo diversi nella cultura politica da Renzi, e lo dimostriamo sulle questioni di merito. Abbiamo visto in questi mesi i renziani della prima, poi arrivare quelli della seconda, della terza, della quarta e della quinta ora. Qui renziani non ce ne sono: noi siamo un’altra cosa, ma al tempo stesso – vorrei che fosse chiaro – lavoriamo perché la sfida complessiva del Pd, e cioè la sfida di guidare questo paese, di portarlo in sicurezza, di portarlo in salvezza, è la sfida di tutti. Per questo vorrei fare un ulteriore passo in avanti nel ragionamento. Maurizio Martina nella sua introduzione – che condivido molto – ha parlato di autonomia e responsabilità. Vado più avanti: noi vogliamo costruire dentro il Pd un’alternativa dentro un rapporto in cui ci si riconosce, dentro una relazione aperta, dinamica, dentro una capacità di sapersi scontrare, ma poi di capire qual è il punto di caduta comune. Io lavorerò in questa direzione.
Se noi utilizziamo bene la nostra autonomia come abbiamo fatto negli ultimi passaggi, i risultati possono arrivare. Cesare Damiano ha detto cose che condivido, io non voglio tornare troppo nel merito, ma permettetemi di aggiungere qualche valutazione. Noi siamo molto attenti a quello che avviene nelle piazze: tanti di noi hanno amici, persone vicine – o loro direttamente – che hanno partecipato alle manifestazioni. Lì c’è un pezzo del nostro mondo, c’è un pezzo della nostra identità, ma soprattutto c’è un ponte che noi vorremmo costruire. Lavoriamo perché nell’azione parlamentare si costruisca appunto un momento di contatto tra quella piazza e la nostra azione. Dei passi avanti sono stati fatti, e quando si ottengono risultati bisogna avere la forza di rivendicarli. Per me ce n’è uno su tutti. Lo dico per la funzione politica, ma lo dico anche per la funzione istituzionale che ricopro. Un risultato importante. Quando si è avviata la discussione, si era detto che avremmo messo la fiducia sul testo del Jobs act approvato al Senato. Uno sbaglio, non solo nel merito, perché quel testo è molto peggiore di quello che uscirà dalla Commissione Lavoro. Ma sbagliato anche sul piano dei rapporti istituzionali. Noi viviamo in un tempo difficile, di antiparlamentarismo strisciante che va convintamente respinto. Aver affermato con tutta la forza possibile che il parlamento non è un passacarte, ma che il parlamento incide, cambia le cose, governa i processi, penso che sia stato un punto essenziale. E qui consentitemi di fare un’altra considerazione. Bene il ponte, bene il rapporto con quel mondo, bene il rapporto con la piazza della Cgil, ma permettetemi anche di dire con la stessa franchezza, che l’identità di una sinistra riformista non può costruirsi solo in quel campo. Guardate sarebbe un errore gravissimo, l’istinto più facile: quando l’onda è alta, quando sei in mare aperto, quando percepisci su di te una sfida difficile, la prima cosa che ti viene da fare è metterti al sicuro in un luogo dove ti senti più protetto, più difeso. E tanti di noi sotto quelle bandiere si sentono a casa. Ma a noi oggi spetta costruire un’alternativa capace di rappresentare un campo molto più largo. Più largo di una piazza della Cgil. C’è bisogno di rappresentare un mondo vasto che chiede dialogo, confronto, politica e mai come oggi ne abbiamo bisogno.
Le parole espresse da molti di noi oggi vanno in questa direzione. Noi vogliamo ricostruire un nesso, tenere insieme il paese, capire dove c’è uno spazio e una possibilità per riconnettere una trama. Partendo dal presupposto che questo paese, proprio per le ragioni di fondo che prima provavo a sottolineare, si tiene solo se si costruisce una guida collettiva e se il Pd è capace di costruire una grande rete di relazioni. Sul Jobs Act abbiamo vinto la partita. Non servono mezze parole: resta il giudizio sulla inopportunità di aver aperto questa discussione, ma dobbiamo riconoscere che ci si voleva imporre un testo che non andava bene. Abbiamo convinto tutti che quel testo bisognava cambiarlo. Riconosco il lavoro di tutti, ma voglio esprimere gratitudine in modo particolare a Cesare Damiano. L’ho visto lavorare, l’ho visto in questi giorni in una trattativa estenuante, e permettetemi una battuta: se mi dovesse capitare nella vita di aver bisogno di essere accompagnato da una persona per fare una trattativa, per provare a raggiungere un risultato, non avrei dubbi su chi scegliere.
Noi abbiamo un’agenda politica complessa e difficile di fronte a noi. I temi principali sono quelli emersi nella nostra discussione. In primis la riforma della legge elettorale. Ricordo il passaggio alla Camera dell’Italicum, un passaggio difficilissimo. Ho dovuto impegnare tutte le mie forze per tenere l’inquietudine enorme dei nostri parlamentari. Quando ho fatto la dichiarazione di voto, ho posto tre grandi questioni sul tavolo: ho detto che le soglie non andavano bene, erano troppo alte, ci facevano somigliare più alla Turchia che ad altri paesi europei. Quelle soglie sono state aggiustate. Poi denunciavo una pagina nera della nostra vita parlamentare, la bocciatura degli emendamenti sulla rappresentanza di genere, che noi avevamo presentato, sacrificati all’altare del patto con Silvio Berlusconi. Anche su questo terreno oggi si è portato a casa il risultato di una rilevante modifica. Dobbiamo rivendicarlo. Poi c’è un terzo punto che per me è quello più decisivo, e cioè il rapporto tra eletto ed elettore. Anche qui un piccolo passo avanti si è fatto, perché sono state introdotte le preferenze. Tuttavia per come è costruita la proposta, questo passo non è sufficiente. Penso di poter dire, rappresentando anche un sentimento comune, diffuso tra noi, che bisognerà fare un’altra battaglia politica vera: bisogna dire con chiarezza che lo schema capolista bloccato e preferenze, in realtà fa eleggere sostanzialmente con preferenza larghissima parte, almeno 2/3, nel partito che vince, ma consegna sostanzialmente liste bloccate agli altri partiti che non prendono il premio dei maggioranza. Guai a pensare che questo sia un dibattito interno tra di noi, guai a pensare che poniamo il problema per fare un danno a Renzi o al governo, oppure per complicare il lavoro dei nostri ministri e dei nostri sottosegretari ! C’è un problema di fondo: la sensazione diffusa e materiale di una rottura profonda del rapporto politica-cittadini, prodotta anche dal fatto che i parlamentari non vengono scelti dai cittadini. La sfida è ricomporre la frattura.
Poi c’è il tema della legge di stabilità. Arriva in uno scenario non facile, in una dimensione europea difficile e con margini disponibili molto stretti perché l’Europa è dominata sul piano della politica economica dai conservatori. Lo schema dominante è esattamente quello della Merkel, quello del Partito Popolare Europeo. Noi dobbiamo provare a capire come riusciamo a muoverci dentro quei margini. Una strada possibile esiste: va bene spostare risorse verso le imprese con l’Irap o verso i cittadini attraverso la manovra degli 80 euro. Ma questi rimangono punti di partenza: noi dovremmo avere la forza di fare altre modifiche. Penso ad una che è simbolica, ma conta: il bonus bebè. Il limite dei 90 mila euro mi pare che non guardi in faccia la realtà di questo paese: dobbiamo batterci da subito per abbassare quella quota, così come dovremmo intervenire sulla previdenza integrativa; e poi ancora sulla Sabatini che è uno strumento utile, che dà ossigeno alle imprese e che non viene utilmente valorizzato; dovremo intervenire a sostegno dei patronati e per evitare che gli enti locali siano costretti a ridurre drasticamente i servizi. E’ una battaglia da combattere in Italia, ma è anche una partita decisiva da giocare in Europa. Io ho molto apprezzato l’intervento di Panzeri: esso contiene una linea guida su cui muoverci in Italia e in Europa. Iniziando col dire che le regole europee non reggono più. Oggi dobbiamo provare ad affermare con tutta la forza che abbiamo che la stagione del rigore, dell’austerità non riesce più a dare un futuro all’Europa. Qualche giorno prima del 25mo anniversario della caduta del muro sono stato a Berlino ed ho avuto un lungo incontro con il mio omologo tedesco il capogruppo dell’SPD. Sono stato chiaro, gli ho detto “voi governate con la Merkel, ma siete della nostra famiglia, della nostra cultura politica, siete la più grande e antica forza socialdemocratica europea. Aiutate l’Europa: così non regge più”. Non si tratta di aiutare l’Italia, si tratta di sostenere il disegno progressista e socialista che dell’Europa noi, insieme, dovevamo realizzare. Non si tratta di fare l’elemosina all’Italia o alla Francia, ma di riaffermare un disegno possibile di tenuta della nostra Europa fuori da vincoli che non reggono più. Io sono profondamente europeista, vivo con sofferenza la difficoltà di questi giorni. Però oggi essere europeisti, non può significare più retorica, non può significare solo parole. Quante volte nei nostri dibattiti, nelle nostre discussioni abbiamo detto che l’Europa è il più bel progetto che le generazioni più anziane hanno consegnato alle generazioni future. Oggi se continuiamo su quel terreno, sul terreno della retorica, rischiamo di non farcela più, e tutto il castello europeo che è stato costruito, rischierà di crollare. Facciamo fino in fondo la nostra parte in Italia, anche con riforme difficili, ma poi apriamo una battaglia vera in Europa per cambiare le regole. Se c’è bisogno anche forzando. Se ci si dovesse rendere conto, da qui a qualche mese, che la manovra non regge la mia personale opinione è che si può decidere che alcune regole si iniziano a rompere. Permettetemi di dire che se la si prende sul lato degli investimenti, questo vincolo del 3% è un tabù che non è più giustificabile e che non sta più dentro l’attualità del tempo che viviamo.
Per me sinistra di governo, sinistra che vuole fare le cose significa esattamente questo: una comunità di donne e uomini che decide insieme di fare un tratto di strada, che decide insieme di assumere sulle proprie spalle il peso e la responsabilità che i cittadini italiani hanno dato al partito democratico, ma al tempo stesso che fa valere fino in fondo le proprie idee. Per me, ad esempio, sinistra di governo significa avere più coraggio sui diritti civili. Sono state date tante scadenze puntuali: sulle riforme costituzionali, sulla riforma del lavoro, sulla riforma della giustizia, sulla riforma della Pubblica amministrazione. Io chiedo al nostro governo e chiedo a Matteo Renzi il coraggio di mettere scadenze anche sui temi dei diritti perché è inaccettabile che sul riconoscimento delle coppie di fatto così come sulla legge di cittadinanza, siamo così in ritardo e che su questi temi così decisivi non ci siano scadenze.
Ancora un tema che a me sta molto a cuore: la giustizia. Una sinistra di governo deve avere coraggio unendo la lotta alla criminalità, alla corruzione, all’evasione fiscale – grande tema, di cui si parla troppo poco – ad una compiuta cultura garantista. Io sono sempre più convinto che la parola “garantismo” debba far parte del nostro patrimonio. Non appartiene alla destra, non deve spaventarci, è una parola di sinistra.
Infine voglio aggiungere un ultimo concetto: qualcuno pensa che noi rappresentiamo la vecchia sinistra, quella dei gettoni, e altrove ci sia invece la sinistra degli iphone e delle ipertecnologie. Vi sbagliate: qui c’è una sinistra moderna, che parte dai diritti, dalle tutele, dalle pari opportunità. Le opportunità sono importanti, ma funzionano se ci sono punti di partenza uguali per tutti, altrimenti le opportunità non bastano.
Bisogna tenere forte e alta la tensione, rimanere ottimisti anche in un tempo che non facile e bisogna tenere insieme la duplice sfida. Da una parte la grande sfida del Partito democratico, che sta sulle spalle di tutti noi e rispetto cui non possiamo sottrarci neanche per un istante. Noi vogliamo che il Pd vinca e che questo governo affronti con successo i grandi problemi che sono sul tavolo. Lo faremo con totale lealtà e provando a metterci tutta la forza possibile. Sapendo che se non regge il Pd non ce la fa l’Italia. Mentre diciamo questo, con la stessa forza dobbiamo affermare che il Pd ce la può fare solo se la cultura della sinistra sarà veramente protagonista e troverà uno spazio nel quale vivere.
Questo noi siamo, questa è la comunità che vogliamo costruire, questo è il nostro compito. Stare dentro la più grande comunità di donne e di uomini del paese a testa alta, rivendicando i nostri valori, le nostre idee e provando a portare a casa risultati di progresso e di vero cambiamento.
Voglio ringraziare tutti voi che siete stati qui oggi, ma permettetemi di ringraziare in modo particolare i nostri amici e compagni di ”Area Riformista” della Lombardia che hanno voluto questo appuntamento, che ci hanno messo tutta la forza politica. Io penso che il loro profilo, la loro storia, le loro qualità sono un tratto determinante di una battaglia che dobbiamo ancora in larga parte giocare e soprattutto dobbiamo ancora vincere.

Grazie